Mineo

UNA NOTTE A MINEO
Da circa dieci anni sono volontaria in Croce Rossa Italiana iscritta nell’albo delle Sep come psicoterapeuta : squadre per il supporto psico-sociale che intervengono a seguito di eventi disastrosi come terremoti e o alluvioni.
Quando, purtroppo, accade un evento di simili dimensioni, che improvvisamente stravolge la nostra quotidianità e spesso provoca perdite di beni e di persone care, le nostre difese psicologiche, le stesse difese che normalmente ci permettono di superare le difficoltà quotidiane, non sono più sufficienti a sostenerci e ad aiutarci per superare la sofferenza.
Un disastro può andare a minare il senso di ordine, giustizia e significato relativo al mondo in cui si vive (Giannantonio, 2003; Castelli e Sbattella, 2003).
Al fine di ridurre o comunque supportare la popolazione colpita, le Sep vengono attivate dalla sala operativa nazionale dell’attività dell’emergenza e raggiungono il luogo dell’evento.
Nella letteratura scientifica è stata sottolineata l’importanza di articolare un programma di intervento psicosociale rivolto alle persone coinvolte in un disastro nel periodo immediatamente successivo ad esso. Secondo Hobfoll e coll. (2007), un intervento psicosociale “immediato” dovrebbe avere le seguenti cinque caratteristiche :
• promuovere il senso di sicurezza;
• favorire il ritorno alla calma,
• incoraggiare il senso di efficacia individuale e collettiva,
• promuovere il senso di connessione ad una rete sociale;
• instillare e mantenere un senso di speranza nei superstiti.
Duranti gli anni, le missioni a cui ho partecipato sono state diverse e ogni volta al momento dell’attivazione i pensieri che passano per la mente sono tanti: operativi ( cosa infilare in valigia), organizzativi (come pianificare gli impegni di lavoro per liberarsi e raggiungere il luogo dell’evento), emotivi che ti accompagnano.
Col tempo ho imparato ad organizzarmi sempre più velocemente, nell’armadio conservo un kit di partenza sempre pronto, i pazienti hanno imparato a tollerare le mie assenze e anzi appoggiano questo tipo di volontariato, ma c’è una sensazione che non è mai scontata: il senso di impotenza che avverto nel primo momento di contatto con la popolazione colpita, la sensazione di non essere utile e soprattutto non capire dove letteralmente mettere le mani appena arrivata.
Fortunatamente, la sensazione di confusione si dirada e insieme ai volontari e alle forze dell’ordine, inizi a comprendere come organizzarti, ogni volta in modo diverso, perché ogni volta il setting è cambiato, le risorse non sono le stesse, i problemi hanno sfumature diverse.
Quando pensiamo ad un evento disastroso dobbiamo pensare non solo ad un evento improvviso, il terremoto, per esempio, ma anche a quelle situazioni che si ripetono più volte, come gli sbarchi dei migranti sulle nostre coste.
La missione a Mineo (Catania) nell’aprile del 2011, è stata una di queste, dove la Croce Rossa Italiana è stata impegnata per molti mesi ad accogliere i migranti sbarcati a Lampedusa e trasferiti nel Villaggio delle Arance per essere assistiti.
Il Villaggio delle Arance riceve fino ad un massimo di 2000 ospiti, di circa 20 etnie diverse, famiglie, minori non accompagnati, coppie, uomini e donne sole. Le storie sono tante e i bisogni anche, infatti l’attività dei volontari nel centro è frenetica, ci si occupa delle mense per adulti e bambini, del magazzino per fornire prodotti per tutti e assicurare l’igiene personale e degli spazi abitativi, delle traduzioni, dell’insegnamento della lingua italiana, della cura sanitaria presso l’ambulatorio e del supporto sociale presso il “punto mamma” (uno spazio adibito anche alla consegna di cibo per neonati).
Tutti i giorni, le attività si susseguono e gli imprevisti non mancano: zuffe tra gli ospiti, emergenze sanitarie, merce consegnata in ritardo (si pensi al latte per i più piccoli), la collaborazione, tuttavia, permette la soluzione delle difficoltà più urgenti.
Durante il periodo in cui sono stata a Mineo, sono stati molti gli eventi che mi hanno coinvolta, uno tra questi è stata la notizia dell’arrivo di altri ospiti.
Nel mio ricordo tutto inizia quando arriva la notizia che la quella notte sarebbero arrivati circa 450 migranti avvistati in mare, diretti sulla costa di Lampedusa. Uomini, donne e bambini.
Nel campo di Mineo iniziano subito i preparativi per accogliere quelle 450 anime che ancora stanno viaggiando in mare.
Le notizie dell’arrivo si susseguono velocemente, a volte si contraddicono ma una cosa è certa; occorre organizzare tutto in poco tempo e nel miglior modo possibile.
Medici e infermieri dell’ambulatorio iniziano a prepararsi nei pochi intervalli che rimangono fra le serrate attività, in realtà gli intervalli sono rari, perché alla porta c’è sempre la fila degli ospiti per varie necessità: donne in stato interessante, bambini, ospiti con il mal di denti, terapia farmacologiche da rivalutare, problemi dermatologici e via così.
Il personale dell’ambulatorio, quindi, cerca di preparare presidi e farmaci utili per una prima accoglienza.
Le forze dell’ordine presenti al campo, carabinieri, polizia e guardia di finanza, riorganizzano i turni di servizio in vista dell’arrivo, perché la notte sarà lunga e gli imprevisti improvvisamente possono trasformarsi in emergenze.
I volontari impegnati nelle varie attività si organizzano: segreteria, mensa, magazzino, logistica, pulizie, e anche noi volontari della ludoteca e del “punto mamma” iniziamo a preparare kit per pulire e vestire i bambini, omogeneizzati e latte.
Verso le 21,00, iniziano ad arrivare all’entrata del Centro, i pullman con i nuovi migranti, e nel villaggio cala il silenzio. Alla porta carraia i volontari sono pronti a far fluire i pullman, le forze dell’ordine sono schierate, la palestra è stata attrezzata per l’accoglienza, ma quello che mi colpisce è il silenzio che cala tra gli ospiti che già da tempo risiedono al campo, si dispongono lungo il tragitto percorso dai pullman e guardano attraverso i finestrini perché sperano che tra i nuovi arrivati ci siano familiari, amici, compagni, di cui non hanno notizie da molto tempo, il viaggio di chi parte dall’Africa a volte può durare anche anni.
L’emozione è tanta ma non c’è tempo per fermarsi: i primi ospiti iniziano a scendere dai pullman e subito li accompagniamo in palestra per dichiarare le proprie generalità agli agenti di polizia, verrà consegnato loro un primo kit di sopravvivenza, asciugamani, cibo.
Ci sono famiglie, minori non accompagnati, uomini e ragazzi. E’ un susseguirsi di colori, di parole sussurrate in lingue diverse, di odori, sguardi, rumori, volontari che si muovono velocemente e ospiti che stanno fermi e si guardano intorno.
I bambini e i neonati sono tanti c’è bisogno di cambiarli, asciugarli, scaldare gli omogeneizzati e preparare il latte, Dalila (anche lei volontaria) ed Io cominciamo a correre letteralmente dalla palestra alla cucina, insieme a noi anche i carabinieri che si impegnano per preparare i biberon e le pappe per i piccoli ospiti.
A metà notte mi chiamano i volontari della segreteria perché durante il viaggio verso l’Italia, un ‘ondata ha fatto sbandare l’imbarcazione e alcune persone sono cadute in mare, tra queste anche il marito di una giovane donna appena arrivata a Mineo. I compagni di viaggio sono visibilmente preoccupati dalle condizioni in cui si trova, l’accompagno all’ufficio che la Questura ha approntato nel centro, così potrà fare la denuncia di scomparsa anche se, purtroppo, nessuno lo dice, ma tutti immaginiamo la fine dell’uomo.
Intanto in palestra si continua la registrazione dei nuovi ospiti, in magazzino la preparazione dei kit per l’igiene e in mensa si preparano thè e caffè.
I migranti appena arrivati sono stanchi e frastornati, noi volontari andiamo avanti come automi, le ore passano, arriva l’alba e gli ospiti da sistemare sono ancora molti, sono arrivati anche tanti minori non accompagnati a cui dovrà essere assicurata un’assistenza particolare.
Nessuno si lamenta, come in un film tutti conoscono la parte che devono interpretare, le sensazioni che si alternano sono tante: tenerezza, stupore, stanchezza, rabbia, speranza. Come in un film già visto ti sembra che il finale non dipenda da te ma che è già stabilito e questa condizione ti butta un po’ giù perché vedere tante persone costrette a lasciare tutto per arrivare in un posto che poco ha da offrire ti rattrista e ti sgomenta.
Fortunatamente, però, dopo la notte c’è sempre il giorno, la stanchezza è dimenticata, gli ospiti tornano alle loro attività, i bambini tornano a giocare e a farsi coccolare e la fine del film ti sembra un po’ meno scontata e con sollievo torni a riordinare omogeneizzati e pannolini pronti per i prossimi arrivi.